Progetto teatrale realizzato nell'anno scolastico 2003-04 in 3 M (classe a tempo prolungato della Scuola Media Statale T. Franchini) nelle ore di compresenza fra gli insegnanti di lettere prof. ssa Claudia Rubbini e musica prof. Sergio Santoni.
MEDITATE CHE QUESTO è STATO
Lentamente entra un compagno.
Si posiziona in piedi al centro della scena.
Legge:
"Quello che accadde… delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire allora né dopo: la notte l’inghiotti, puramente e semplicemente."
Inizia la musica: l’Adagietto della 5° sinfonia di Mahler.
Uno per volta tutti si mettono ai piedi del primo attore e si lasciano andare come morti sino a formare “mucchi di cadaveri”.
Gli ultimi 5 si dispongono in piedi nello spazio e recitano a staffetta il testo della canzone di Auschwitz, una strofa ognuno:
Son morto che ero bambino
son morto con altri cento
passato per un camino
ed ora sono nel vento.
Ad Auschwitz c’era la neve
e il fumo saliva lento
nei campi tante persone
che ora sono nel vento.
Nel vento tante persone,
ma un solo grande silenzio
è strano non ho imparato
a sorridere qui nel vento.
No, io non credo
che l’uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
e che il vento mai si poserà.
Ancora tuona il cannone,
ancora non è contenta
di sangue la belva umana
e ancora ci porta il vento.
Ancora tuona il cannone,
ancora non è contento
saremo sempre a milioni
in polvere qui nel vento.
Alla fine anche loro si lasciano andare per terra.
La musica lentamente si abbassa.
Dopo un po’ una voce pronuncia con una certa energia:
“Wstawacht”
Il gruppo intero sottovoce risponde:
“Alzarsi”
Inizia la seconda musica: Pie Jesu dal requiem di A. Webber
Lentamente tutti si alzano e camminano occupando lo spazio. Lentamente si formano tre gruppi ai margini in luoghi prefissati, ognuno di questi inizia a muoversi copiando i movimenti di un conduttore.
Mentre viene eseguita questa coreografia viene recitata da un compagno la testimonianza di un ragazzino internato in un campo di sterminio. Lettera di Chaïm
Miei cari genitori,
se il cielo fosse carta e tutti i mari del mondo
inchiostro, non potrei descrivervi le mie sofferenze e tutto
ciò che vedo intorno a me.
Il campo si trova in una radura. Sin dal mattino ci
cacciano al lavoro nella foresta. I miei piedi sanguinano
perché ci hanno portato via le scarpe… Tutto il giorno
lavoriamo quasi senza mangiare e la notte dormiamo sulla
terra (ci hanno portato via anche i nostri mantelli).
Ogni notte soldati ubriachi vengono a picchiarci con
bastoni di lego e il mio corpo è pieno di lividi come un
pezza di legno bruciacchiato. Alle volte ci gettano qualche
carota cruda, una barbabietola, ed è una vergogna:
ci si batte per averne un pezzetto e persino qualche foglia.
L’altro giorno due ragazzini sono scappati, allora ci hanno
Messo in fila e ogni quinto della fila veniva fucilato… Io
non ero il quinto, ma so che non uscirò vivo da qui. Dico
addio a tutti, cara mamma, caro papà, mie sorelle e miei
fratelli, e piango...
Poi terminata la testimonianza il gruppo lentamente defluisce dietro le quinte e il compagno si accascia al suolo.
Vicino a lui si inginocchia una compagna e recita la poesia Veglia di Ungaretti.
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sua mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto attaccato alla vita
Inizia la 3 Musica. Su questa entrano i sei si posizionano e immobili aspettano l’inizio della 4 Musica. Su questa musica iniziano i movimenti, primo pochi, usuali e scontati poi più creativi… (Comunque espressioni distanti che vogliono rappresentare l’indifferenza).
Dopo qualche minuto entrano tutti si posizionano dietro i sei ragazzi con le sedie e mentre il movimento continua viene recitata a staffetta la poesia di Primo Levi:
SHEMà
Nelle vostre tiepide case,
Il cibo caldo e visi amici:
di ricordare
Come una rana d’inverno.
Tutti si fermano ed avviene il miraggio di musiche e ci si volta verso luca che dice:
MEDITATE CHE QUESTO è STATO;
dopo ciò che è successo, nessuno può ritenersi in pace con la propria coscienza: la condanna, se non come singoli, ci spetta in quanto uomini. Considerata la abnormità dell’evento, tutti dovremmo sentirci mutati e la nostra meditazione dovrebbe essere costante.
Così non è. “ La condanna dell’uomo è che esso dimentica” ed è proprio quando viene a mancare la memoria che il presente diventa oscuro e il domani incerto. I inserisce per finire la musica di JOHN CAGE… e si sfuma mentre LUCA esce.